La figlia del vento

La figlia del vento

“Il vento soffia forte in quell’isola nera e selvaggia chiamata Pantelleria, Bent el Rion, la figlia del vento: così la chiamavano gli arabi che la dominarono.”

La sua energia indomabile scuote gli animi, piega le viti e gli ulivi, agita le acque, mentre le onde si fanno alte infrangendosi contro la costa nera e frastagliata, vulcanica, mostrando il lato misterioso e lunare di quella terra impervia, a tratti ostile, desertica.

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L’isola è ricca di contrasti. Nera come la lava e bianca come la luce abbagliante dell’alba che si riflette sui tetti sinuosi dei dammusi; illuminata dal solo bagliore delle stelle, nel buio penetrante della notte, e vibrante di rosa e arancio sfumati che donano tramonti da mozzare il fiato.

L’eroismo del coltivare

L’eroismo del coltivare

“Terra dove le viti e l’uomo crescono in simbiosi. Entrambi se ne stanno rannicchiati a terra, quasi inginocchiati al suolo per baciarlo”

Il sole e il vento, la terra e il mare, insieme nutrono il terreno scuro, da cui emergono brillanti tappeti di basse viti e ulivi, su terrazze di piccole dimensioni delimitate da muretti a secco, costruiti dall’uomo. Tronchi possenti e germogli teneri si accovacciano in quel grembo che li alimenta e li fa crescere.

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Si nutrono della salsedine che il vento attacca alle loro radici, ma pure di terra infuocata e scaldata dal sole. Stanno placidi, circondati dal silenzio intorno, in attesa della tenerezza sapiente dell’uomo, che le custodisce e le coltiva eroicamente, con tecniche tramandate da padre in figlio. Gesta eroiche queste ultime, che hanno portato la pratica di coltivazione dell’alberello di Pantelleria ad ottenere il riconoscimento Unesco come bene Patrimonio dell’Umanità, perché capace di preservare il territorio, in modo sostenibile e creativo.

Del resto, non può che essere così in quella terra dove le viti e l’uomo crescono in simbiosi. Entrambi se ne stanno rannicchiati a terra, quasi inginocchiati al suolo per baciarlo, perché così vuole il vento, così vuole la natura. Piegate e scaldate dal sole sono le viti, piegato a coltivarle e a raccoglierle manualmente è il contadino. Ma la terra generosa ricambia le cure d’amore con doni di immenso valore e, d’estate, quando i grappoli maturano, l’odore di uve zibibbo si fonde alla fresca brezza del mare.

E diventa intenso e inebriante quando l’uva, raccolta manualmente, viene fatta appassire al sole, su appositi graticci. Zibibbo deriva dall’arabo zabib che significa proprio uvetta, uva appassita.

E in quei periodi, in cui l’isola emana le sue fragranze più dolci, l’uomo si riappacifica con la severa terra, madre generosa. Ed eccola, Pantelleria nella sua indescrivibile bellezza. Bagliori dorati illuminano i giardini panteschi circondati da muretti di pietra lavica a secco. Il paesaggio è incorniciato da ginestre, bouganville, dammusi, piante di capperi, viti e ulivi, coltivati bassi e ramificati in ampiezza per proteggerli dal vento. Riflessi di luce esplodono nel bianco dei tetti ondulati delle case.

Selvaggia l’isola scuote, poi accarezza, nutre e scalda, lascia l’uomo nella solitudine arida delle contrade e lo riprende confortandolo con il profumo dorato delle uve, destinate alla produzione dei grandi passiti e moscati.

Impegno, gratitudine, fiducia

Impegno, gratitudine, fiducia

“Un rapporto fondato sulla fiducia dei contadini, sostenuti nella loro terra, gratificati per le loro gesta eroiche”

È dalle uve zibibbo coltivate a Pantelleria che nascono i grandi vini dolci della famiglia Pellegrino, che a partire dagli anni ’90 inizia il suo impegno, vicina ai contadini e alle loro famiglie per la produzione e la valorizzazione dei vini dell’isola. Le gesta d’amore di una delle più importanti famiglie del vino siciliano iniziano con la costruzione di una cantina in questo luogo dal fascino desertico e selvaggio.

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Indispensabile la collaborazione con i vignaioli panteschi, veri conoscitori del territorio e delle tecniche di coltivazione più idonee alla produzione dei vini doc dell’isola. Nasce così un rapporto fondato sulla fiducia dei contadini panteschi, sostenuti nella loro terra, gratificati per le loro gesta eroiche.

Un legame che ha spinto la famiglia Pellegrino a gratificare e a sostenere quella terra che, stretta in una morsa di fuoco, si è vista devastare nel cuore a causa di un incendio che ha sterminato il verde di Montagna Grande e di Monte Gibele.

Le Cantine Pellegrino promuovono infatti “Insieme per Pantelleria”, un’iniziativa che ha già permesso di ripristinare il prezioso ecosistema pantesco compromesso dal terribile incendio. Pantelleria nel cuore. Questo è il sentimento della famiglia Pellegrino, capace di ascoltare e nutrire il senso di gratitudine che la terra genera.

I vini dell’isola

I vini dell’isola

“Un miracolo che nasce in questa terra aspra e dura”

Dalle uve zibibbo coltivate nell’isola, nasce infatti la punta di diamante della produzione di famiglia, il Nes Passito Naturale di Pantelleria. In contrade dai nomi di origine araba, dislocate lungo la costa, l’uva viene raccolta a mano, surmatura, nel preciso momento in cui raggiunge un elevato grado zuccherino. Il suo colore ambrato racchiude un mistero, celato tra i filari delle viti accovacciate per terra, custodito nelle sapienti mani dei contadini e in una tradizione agricola tramandata da generazione in generazione. Denso di sentori di miele, di fichi secchi e di frutta candita, Nes è un vero elisir di benessere.

Dalle stesse uve zibibbo nascono anche il Moscato Naturale e il Passito Naturale di Pantelleria. L’appassimento degli acini sui graticci conferisce al Passito una trama intensa di frutta candita ed erbe aromatiche, mentre il Moscato, nato sui terreni freschi situati a più elevate altitudini, esprime la sua delicatezza attraverso le note di pesca gialla, melone e agrumi. Una dolcezza diversa, nei due casi, ma accomunata da una scia sapida regalata dalla terra vulcanica, dove sferza il vento, si agita il mare, splende il sole.

I VINI DELL’ISOLA